Il libro racconta l’incredibile vicenda di Silvia Da Pont, la giovane cameriera di Cesiomaggiore (Belluno) fatta morire nel 1951 dall’insospettabile cavalier Carlo Candiani. Un caso di cronaca giudiziaria che occupò le prime pagine dei giornali dell’epoca. Se ne occuparono anche cronisti di razza del calibro di Mario Cervi ed Egisto Corradi. E magistrati importanti come il dottor Dante Maccone, presidente delle Assise ordinarie di Milano, che diresse processi di rilievo tra cui quello ai responsabili dell’Eccidio di Schio del 6 luglio del 1945; il dottor Giovanni De Matteo, pubblico ministero del celebre processo a Caterina Fort e al bandito Barbieri; gli avvocati bellunesi delle parti civili Ugo Della Bernardina e Doglioni. Silvia Da Pont ha 21 anni quando viene trovata morta il 28 ottobre 1951 a Busto Arsizio, nella cantina della villetta in via Galilei n.3 dove lavorava come domestica dalla famiglia di Adelchi Nimmo, dipendente della compagnia aerea TWA. Di questa povera ragazza conosciamo i dettagli dalla testimonianza resa dal padre Antonio Da Pont boscaiolo di Cesiomaggiore, la madre Adelina Bortolas domestica e poi casalinga, e la sorella maggiore Maria, babysitter a Zurigo. Sarà quest’ultima a dare impulso alle indagini, poi condotte dal capitano Mongelli, comandante dei carabinieri di Busto Arsizio, che individua subito il colpevole e lo porterà alla sbarra. Si tratta dell’insospettabile settantenne, cavalier Carlo Candiani, due volte vedovo, ex commerciante di macchine per cotonifici, appassionato di farmacologia ed erboristeria che abitava nella stessa villetta di sua proprietà dove lavorava Silvia. Dino Buzzati scriverà che il Candiani l’ha “tenuta nascosta, come una sorta di bambola vivente tutta per sé per oltre un mese e mezzo alimentandola solo con qualche cucchiaino di vino e latte”. L’Orco di Busto Arsizio, come lo chiamò Pacifico Fiori, inviato speciale del Corriere della Sera, firmerà la confessione, poi ritratterà e negherà fino alla fine. Sarà condannato a 25 anni in Assise, poi ridotti a 14 in Appello e a 13 in Cassazione, e morirà nel carcere di Parma nel 1957. L’omicida dunque è il distinto signore della porta accanto, un uomo ritenuto perbene, che per salvare la propria reputazione decise di lasciar morire la ragazza che avrebbe potuto avere salva la vita.
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